Devo esser sincero. Non volevo scrivere questo articolo perché speravo non ce ne fosse il bisogno. Ma occorre fare un po’ di chiarezza sullo Smart Working. Come si suol dire: “la cosa sta sfuggendo di mano“…

Senza entrare nel merito dei singoli casi delle aziende (non conosco i loro progetti per esprimermi) e, tralasciando – pietosamente – la superficialità e scarsa professionalità di chi scrive, capace oramai di fare solo “copia e incolla” senza approfondire fonti o conoscere meglio l’argomento (ma questo è un problema del giornalismo morto da tempo, vista la diffusa improvvisazione), credo sia cosa buona e giusta chiarire bene cosa si intenda per Smart Working, partendo da cosa non è lo Smart Working.

Cosa non è lo Smart Working? Partiamo dalla normativa da poco approvata. Definire lo Smart Working “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” non è sicuramente sufficiente (leggi qui), ma lo ritengo già un gran successo, considerando che si era partiti con definirlo come “una nuova tipologia contrattuale” tra datore di lavoro e dipendente.

Adesso la normativa fa esplicito riferimento alla possibilità di “svolgimento della prestazione lavorativa, basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici, nonché dall’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali“.

Lo Smart Working non è solo un rapporto di lavoro subordinato.                                                Altro punto da considerare. Lo Smart Working è un concetto che riguarda le organizzazioni (profit e no-profit) e non il singolo professionista freelance che, da sempre, è abituato a lavorare in mobilità, con orari flessibili e utilizzando software e applicazioni che gli consentono di svolgere la professione in maniera “nomade”.

Quindi, non ha senso chiamare smart worker quei professionisti che hanno sempre lavorato così. Freelance erano prima, freelance sono ora, freelance saranno domani. Farsi chiamare smart worker è decisamente inappropriato.

Esempio: se sono un consulente freelance e lavoro in treno non sto lavorando in smart working. Sto semplicemente lavorando.

Lo Smart Working richiede la dimensione aziendale.

Basta associare Smart Working a lavorare da casa. Quello è Home Working o Remote Working se lavoriamo abitualmente in mobilità e sfruttiamo luoghi diversi da quello che consideriamo un ufficio (es: coworking, bar, chalet, parchi, ..).

E basta associare lo Smart Working a “lavorare 1 giorno alla settimana” in un luogo al di fuori degli uffici (vedi il mio post su LinkedIn poco sopra).

Per non confondere lo Smart Working con concetti molto simili come Agile Working, Remote Working, Flexible Working ho dedicato un altro articolo qui.

Lo Smart Working non è l’evoluzione del telelavoro.

Dunque, cos’è lo Smart Working e come funziona?

Preciso che la complessità del concetto non lo rende facilmente definibile. Pertanto, credo sia anche questa la grande criticità che riscontrano tutti coloro che cercano di dare una forma a qualcosa che difficilmente riescono a comprendere.

Lo Smart Working è un nuovo approccio al nostro modo di lavorare e collaborare all’interno di un’organizzazione in cui alla base ci sono tre elementi chiave:

  • la revisione della leadership e del rapporto tra manager e dipendente (da controllo a fiducia);
  • il ricorso a tecnologie collaborative in sostituzione ai sistemi di comunicazione rigidi;
  • la riorganizzazione del layout e degli spazi di lavoro che vanno oltre le 4 mura di un ufficio.

Questo nuovo approccio pone al centro dell’organizzazione la persona, facendo convergere gli obiettivi personali e professionali con quelli aziendali, in un unico modus operandi che garantisce una maggiore produttività aziendale.

Pertanto si cerca di responsabilizzare il singolo lavoratore, renderlo proprietario del proprio lavoro, consapevole dei risultati da raggiungere, cosciente del lavoro in team e autonomo nel definire le modalità e le tempistiche di svolgimento delle attività.

Per iniziare a parlare di smart working si deve ripensare l’intera organizzazione

Ciò significa – naturalmente – ripensare l’intera organizzazione e avviare un processo di cambiamento finalizzato a valorizzare il singolo lavoratore, aumentare il suo commitment nel raggiungimento degli obiettivi aziendali e garantirgli le condizioni giuste per coniugare vita professionale e vita personale (worklife balance).

In questo modo il lavoratore è:

  • Soddisfatto dell’attività che svolge e del posto di lavoro;
  • Ingaggiato e motivato a raggiungere gli obiettivi aziendali.

Insomma.. la ricetta per la produttività. Questo comporta rivedere gli spazi e renderli più “vivibili”, dare l’opportunità di lavorare al di fuori dell’ufficio, garantire device portatili, tecnologie digitali e software collaborativi, snellire e adattare i processi (tra cui fondamentali quelli di recruiting e talent management) e tanto altro ancora.

Ora capisci perché lo Smart Working è complesso e non può esser esclusivamente ricondotto a una “modalità di lavoro subordinato”?

Se non ti ho convinto ancora, ti consiglio vivamente di scaricare (gratis) l’ebook scritto con i miei soci “The Smart Working Book” che spiega il concetto fornendo caratteristiche e linee guida per l’implementazione in azienda.

Si tratta di un racconto semplice che illustra i tre punti cardine dello Smart Working, le cosiddette 3 B (Behaviours, Bytes, Bricks) che indicano come dovrebbero cambiare la nostra cultura organizzativa, le nostre tecnologie e i nostri spazi di lavoro. Se, invece, hai bisogno necessariamente di una definizione, allora quella del Chartered Institute of Personnel and Development (CIPD), credo sia la più appropriata.

Smart Working is an approach to organising work that aims to drive greater efficiency and effectiveness in achieving job outcomes through a combination of flexibility, autonomy and collaboration, in parallel with optimising tools and working environments for employees’ (2008).

Lo Smart Working non è un modo per far crescere la brand reputation di un’organizzazione. Lo Smart Working è una via per la sua sopravvivenza.

Qui trovate l’articolo originale.

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