UN MANIFESTO POPOLARE PER IL FUTURO DELLA CONSERVAZIONE DELLA NATURA

Il Pianeta Terra, la nostra casa, sta subendo una perdita senza precedenti di biodiversità e un’accelerazione dei cambiamenti climatici che minacciano il futuro dell’umanità e di ogni altra forma di vita.
Le uniche soluzioni sostenibili, giuste e reali a queste crisi risiedono nell’umanità stessa – in particolare nei popoli indigeni e nelle comunità locali, che sono i migliori custodi della biodiversità – e in un modello di conservazione che abbia al suo centro i diritti umani e la diversità umana. Abbiamo bisogno di un modello di conservazione che combatta le vere cause della distruzione ambientale e che sia pronto a contrastarne i maggiori responsabili: il sovra-consumo e lo sfruttamento delle risorse per profitto trainati dal Nord globale e dalle sue imprese. Al contrario, molti governi, insieme all’industria della conservazione e a molte aziende dei paesi occidentali, rifiutano di affrontare le vere radici del problema e pretendono di poter migliorare la situazione attraverso la creazione di più Aree Protette e l’implementazione di vaghe “Soluzioni Basate Sulla Natura”. Queste false soluzioni vengono proposte come soluzioni “reali” alla crisi climatica attuale.

Tuttavia, decenni di ricerche e di esperienze hanno dimostrato che l’approccio dominante alla conservazione della biodiversità ha avuto un impatto devastante sulle terre, sui mezzi di sostentamento e sui diritti dei popoli indigeni e locali. Questo approccio si basa in gran parte sulla visione, sbagliata, di una “natura” priva di presenza umana. Questa visione ottusa ha portato a un modello di conservazione dall’approccio spesso violento, colonialista e razzista; un modello che si accaparra la terra e la militarizza, che criminalizza e distrugge gli stili di vita delle comunità indigene e locali, e che ne disdegna le conoscenze. Nonostante tutte le sofferenze provocate, questo modello non ha mai impedito la distruzione degli ecosistemi che afferma di proteggere.
Persino le “riforme” che sostengono di voler evitare gli abusi peggiori di tale “conservazione fortezza” sono di solito mere operazioni di facciata, e includono i popoli indigeni e locali solo in un secondo momento o come elementi accessori rispetto all’obiettivo principale, secondo modalità che continuano a violare gli standard internazionali sui diritti dei popoli indigeni e delle altre comunità locali [Si veda la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP) e la Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali (UNDROP)]. Questi tentativi di cambiamento sono spesso solo apparenti, perché sono circoscritti a singoli progetti e mancano di riconoscere che il problema è strutturale. Il modello di conservazione in oggetto è quindi molto lontano dall’essere basato sui diritti. Al contrario, si fonda sempre più su un approccio neoliberale in cui sia la natura sia le persone sono definite come forma di “capitale” il cui valore è fissato dal mercato. Non affronta le cause che stanno alla base della perdita di biodiversità dovuta a un’economia industriale orientata alla crescita e, anzi, spesso le incoraggia.

 

 

Finché l’industria della conservazione della natura potrà replicare questo modello, il denaro dei contribuenti e dei filantropi utilizzato per finanziare più Aree Protette continuerà ad avere un impatto catastrofico sia sulla biodiversità sia sulle persone. Le richieste che elenchiamo di seguito comportano lo smantellamento di questo modello, perché riteniamo che si possa avere un cambiamento positivo solo adottando un modello nuovo, e non modificandone uno difettoso.
1 Si veda la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP) e la Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali (UNDROP)

Il modo in assoluto più efficace e giusto di lottare contro la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici è rispettare i diritti territoriali dei popoli indigeni, che già proteggono l’80% della biodiversità mondiale, e di altre comunità locali. Questo fatto è riconosciuto da molte policy e dichiarazioni, ma l’azione “sul campo” continua a espropriarli e a maltrattarli. Noi sottoscritti dichiariamo che:

» La comunità internazionale deve accettare di fermare completamente la creazione di nuove Aree Protette che escludano i popoli indigeni e le comunità locali;

» I governi devono rispettare, proteggere e far rispettare pienamente i diritti territoriali e forestali dei popoli indigeni, devono rispettare l’uso collettivo e consuetudinario della terra e della foresta da parte delle comunità locali, e garantire la protezione di quella terra conformemente alla loro volontà. Questi presupposti devono essere la principale strategia per la protezione della biodiversità in tutto il mondo;

» I governi e le organizzazioni per la conservazione non devono impegnarsi in alcun progetto di conservazione senza avere il Consenso Libero, Previo e Informato (FPIC) delle comunità interessate; » Come per ogni altro ambito professionale, le organizzazioni per la conservazione devono essere soggette a regolamentazioni e aderire a codici di condotta prestabiliti al fine di garantire che la conservazione non sia un “fine” che giustifica qualsiasi mezzo;

» I governi e le organizzazioni della conservazione devono riconoscere il pesante tributo che le aree di conservazione rigidamente protette hanno fatto pagare alle terre, ai mezzi di sussistenza e ai diritti di molte comunità in tutto il mondo; devono implementare piani concreti per rimediare agli errori passati, inclusa la restituzione del controllo ai custodi storici e locali di questi luoghi;

» I paesi ad alto reddito devono fornire risorse finanziarie per sostenere questi cambiamenti e devono smettere di finanziare programmi di conservazione che, intenzionalmente o meno, distruggono i locali e loro i mezzi di sussistenza, e non rispettano il principio del Consenso Libero, Previo e Informato (FPIC);

» Le nazioni industrializzate devono accordarsi per una riduzione – e non per un semplice spostamento – dell’estrazione delle risorse destinate a produzione e consumo, imponendo queste misure anche alle proprie aziende al fine di ridurne l’impatto sul mondo naturale;

» I governi e le aziende devono abbandonare progressivamente i combustibili fossili e smettere di cercare di dare una veste ecologica alle loro emissioni affermando falsamente che le compensazioni “basate sulla natura” mitigheranno i cambiamenti climatici;

» Quando operano al di fuori dei propri paesi o attraverso fornitori terzi, le aziende multinazionali e le organizzazioni per la conservazione devono aderire a, e rispettare gli standard internazionali, tra cui anche il FPIC; » Le aziende multinazionali e le organizzazioni per la conservazione devono praticare la due diligence in materia di diritti umani per identificare, prevenire, mitigare e rendere conto di come gestiscono l’impatto sui diritti umani. Devono implementare meccanismi efficaci di reclamo e risarcimento per le vittime di violazioni dei diritti umani legate alle loro attività;

» Le politiche ambientali e sul clima – sia nazionali sia internazionali – devono essere concepite e valutate in termini sia di giustizia sociale sia di sostenibilità ambientale. Il nostro obiettivo comune deve essere quello di ottenere un benessere giusto, equo e sostenibile per gli esseri umani e per tutte le altre le specie con cui condividiamo questo pianeta.

Uomini e natura sono inseparabili e la protezione della natura dovrebbe essere integrata in una prospettiva più ampia: come viviamo e come creiamo un mondo in cui tutti possano godere di una vita sana.

https://it.ourlandournature.org/

https://www.lepoint.fr/afrique

https://elpais.com/planeta-futuro

https://www.theguardian.com/environment/2021

 

Bridge the North-South divide for a UN Biodiversity Framework that is more just (commentary)

 

 

 

 

 

 

 

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